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prima parte
					
				 
				Partiamo dalla cima, dal vertice della piramide del calcio italiano: il punto dove ogni calciatore, quando comincia da bambino, sogna di arrivare. Il Milan campione d'Italia è la squadra più anziana della serie A, ha una rosa la cui età media è 28,8 anni, e se dalla rosa si passa al gruppo dei titolari si sale tranquillamente ai 30. Il segnale che solo questo dato manda al calcio italiano è chiarissimo. E anche preoccupante, forse. Per vincere ci vogliono gli esperti e dunque gli anziani. In questo concetto, semplicissimo ma anche mortificante, si chiude tutta la mentalità del nostro calcio. 
Quando il 7 maggio il Milan ha vinto lo scudetto a Roma, aveva in campo una squadra da 30,5 anni di media. Il Barcellona che pochi giorni dopo a Valencia ha vinto la Liga e poi ancora la Champions League a Londra, 26,5 anni. Il Borussia Dortmund di Jurgen Klopp per la festa del suo incredibile titolo in Bundesliga ha schierato una squadra con l'età media di 24 anni, un record. Un tipo di squadra, quella tedesca, addirittura inconcepibile in Italia, non c'è un solo giocatore di gran nome: è proprio il talento dei giovani ad aver vinto. Il Lille campione di Francia ha una squadra di 25enni, e non è nemmeno tra le più giovani della Ligue 1, il principale compito di Leonardo al Psg è stato proprio quello di fare una squadra giovane, l'Auxerre e il Rennes sono squadre di 23enni. Da noi si pensa che non sia assolutamente possibile, eppure le scuole del Barcellona e del Borussia Dortmund dimostrano il contrario. Anzi, per far capire meglio il problema: il Borussia Dortmund è l'esatto contrario del Milan.
Demetrio Albertini, uno che esordì nel Milan a 17 anni e mezzo, adesso, a 40 anni, da sveglio vicepresidente della Federcalcio ha cominciato a interessarsi al problema. E ha ricavato una radiografia preoccupante del calcio italiano: "Dobbiamo muoverci, ormai tutti se ne rendono conto. Io ne sto parlando molto: le nazionali giovanili spagnole - under 17, under 19 e under 20 - hanno talmente tanti giovani che è la Spagna è a posto per i prossimi venti anni". Noi invece no, non ce li abbiamo più i giovani.
La fotografia del calcio italiano possiamo scattarla qui. La serie A sta perdendo i giovani e sta progressivamente invecchiando: come l'Italia fuori dello stadio del resto. La serie A è un campionato per vecchi (addirittura il più vecchio d'Europa), secondo l'analisi dell'ultima stagione. Vedremo cosa succederà nella prossima: solitamente i giovani in rosa ci sono, ma poi vengono scarsamente utilizzati. Servono più che altro per fare mercato. Gli under 21 nelle rose dell'ultimo campionato erano 167 (22,7%) su 733 giocatori complessivi, ma alla fine le presenze effettive in campionato diventano appena 439 su 10.365 (4,2%). Ma se queste presenze vogliamo qualificarle, di titolari effettivi ne troviamo pochissimi. Se poi consideriamo che gli stranieri non sono ovviamente convocabili in nazionale, ci troviamo con un movimento giovanile fermo al palo rispetto agli altri paesi. Il Brasile in crisi ha comunque prodotto un Mondiale Under 20, per loro il futuro è sicuro. Per noi è un'incognita.
Milan, Napoli, Lazio sono squadre oltre i 28 anni di media. Molte in questo mercato hanno cercato di ringiovanirsi, ma per ora siamo ai progetti. Vedremo quando si farà sul serio. La Roma (età media 27,1) punta dichiaratamente sui giovani, ma un progetto del genere espone a molti rischi: si punta sui giovani perché si crede nei giovani, oppure perché bisogna tagliare il monte stipendi che per i grandissimi club può arrivare comodamente oltre i 100 milioni l'anno? Un grandissimo lavoro sui giovani lo fanno Palermo e Udinese, squadre che non arrivano ai 25 anni di età media, e con loro Cagliari, Fiorentina, Bologna, Parma. Ma i giovani con le big fanno spesso da comparsa. E il mercato in assoluto è comunque rivolto molto, troppo, all'estero: quindi per chi producono giovani calciatori le medio piccole della serie A, l'intera serie B e così via? Il Barcellona  -  punto di riferimento del calcio internazionale  -  crede ciecamente nel suo vivaio (se Bojan dovesse confermarsi in Italia se lo riprenderà comodamente con un milione): l'ultima scoperta è Thiago Alcantara, figlio di Mazinho e nato in provincia di Brindisi...
Le nostre "under" da anni ormai non vincono campionati europei e mondiali: l'ultimo europeo del 2004 della Under 21. Che, ultima delusione, ha fallito la qualificazione anche alle prossime Olimpiadi. Ciro Ferrara, il nuovo ct, è costretto a convocare la maggioranza dei giocatori dalla B e dalla C.   E allora? E allora, purtroppo, la stragrande maggioranza per vincere o anche solo tentare di vincere si affida ai più vecchi e i giovani li tiene a mollo nella Primavera, in prestito o comproprietà in squadre più piccole dove non fanno grande esperienza, al massimo fermi nella rosa della prima squadra. Ma senza mettere mai veramente il naso in serie A.
Numeri impietosi. Nelle rose di serie A i giovani ci sono ma dà lì non si muovono se non per essere convocati il sabato o la domenica per il campionato Primavera. Si allenano, vedono da vicino Ibrahimovic o Eto'o, Del Piero o Cavani ma non riescono quasi mai a giocare insieme a loro. Il parco giocatori della serie A è fatto di circa 700 calciatori. Ma nell'ultimo anno in serie A hanno giocato almeno una partita appena 65 giocatori dalla classe '89 in su (su 733), vale a dire al di sotto dei 22 anni. Se ci fermiamo alla classe '90 (21 anni) si scende a 49; se ci fermiamo al '91 (20 anni) si arriva a 39: se ci fermiamo al '92 si arriva a 21, per trovare infine 4 classe '93, i più giovani in assoluto. Se abbiamo a cuore la nazionale però vediamo che gli under 21 italiani sono stati meno di 20. Fanno appena una squadra dalla rosa molto ristretta, sono così pochi che possiamo anche citarli tutti: Grandolfo (Bari), Leali (Brescia), Ragatzu (Cagliari), Santon (Cesena), Camporese e Piccini (Fiorentina), Paloschi (Genoa), Natalino (Inter), Giandonato, Giannetti e Libertazzi (Juventus), Donati, Bertolacci e Sini (Lecce), Beretta (Milan),  Maiello (Napoli), Macheda e Zaza (Samp).  E tra questi titolare c'è stato il solo Santon a Cesena, parzialmente lo è stato Macheda con la Samp, un po' Destro e Paloschi col Genoa. Basta, tutti gli altri lì ad aspettare. Ci sono state squadre il cui contributo è stato veramente vicino allo zero, vedi Lazio, Chievo, Catania, la stessa Roma pre-americana. La grande fabbrica di talenti del calcio italiano  -  quella che gettò subito in campo Rivera a 16 non ancora compiuti nel '59, Maldini anche lui a 16 nel 1985, Totti e Balotelli a 17 anni  -  si è ormai inceppata.
Il calcio italiano non solo invecchia ogni anno un po' di più, ma diventa sempre più straniero. Il calcio, come la società civile, si sta sempre più globalizzando, si mescola, ma non sempre con i migliori intenti. In particolare sembra si sia rinunciato a cercare il calciatore vicino casa, nella propria città o nella propria regione. Emblematico ad esempio il caso di Eden Hazard di cui tanto si è anche parlato in estate: è un giovanissimo numero 10 belga in forza al Lille in Francia. Ha appena 20 anni, ma in Francia ha esordito che aveva 16 anni, ha già 4 campionati sulle spalle e ha già giocato oltre 100 partite di Ligue 1 e una ventina di partite europee. Oggi la Francia è seconda dietro solo il Brasile nella fornitura di calciatori a tutte le squadre europee (circa 250 contro poco più del doppio del Brasile), superiore addirittura all'Argentina. I suoi vivai sono efficienti, moderni e molto produttivi. 
I settori giovanili sono pieni di ragazzi che vengono dal Sud America o dal Ghana. Con i giovani stranieri si aggirano le regole e soprattutto si specula. Se gli stranieri sono ormai il 45% della serie A  -  praticamente siamo di fronte a un calcio italiano dimezzato  -  perfino nei tre gironi del campionato Primavera troviamo 130 ragazzi stranieri parcheggiati e pronti al grande salto. Se ci sarà mai...