Adesso, con l'Inter fuori dalla Champions a primavera non ancora iniziata, Mourinho dice di avere capito che il Manchester è un'altra cosa, Rooney e Cristiano Ronaldo di un'altra categoria, l'Inter una squadra con precisi limiti e che è necessario parlare con Moratti per programmare una crescita adeguata della squadra in ottica europea: proprio come ha fatto il Manchester – ha spiegato lo Special One – che tre anni fa le prendeva dal mio Chelsea in campionato ma che facendo crescere i suoi giovani assi e acquistando un campione ogni anno (gli ultimi, Tevez e Berbatov) è diventato quello che è diventato. Tutto okay, tutto perfetto. Ma qualche riflessione, dopo la folgorazione di Mourinho negli spogliatoi dell'Old Trafford, forse è il caso di farla.
ARMIAMOCI E PARTITE. Com'è ormai sua abitudine dopo ogni sconfitta, fatta la premessa: “Prima di dire male dei miei ragazzi, dovete ammazzare me”, sistematasi l'aureola dell'angioletto in testa Mourinho incomincia a “dire male” dei suoi ragazzi. Perché sia chiaro a tutti che lui, nel disastro che si è appena consumato – un 3-1 dall'Atalanta in campionato, un 3-0 dalla Samp in Coppa Italia, un 2-0 dal Manchester in Champions League – non c'entra nulla. Dopo le crocifissioni pubbliche di Cordoba, Quaresma, Mancini, Cruz, Balotelli, Adriano, Maxwell, Vieira e persino del povero Rivas – che sarebbe come rubare in chiesa -, nel dopo-Manchester Josè è riuscito nell'impresa di dire in mondovisione, papale papale, che l'Inter è una squadra di mezza tacca a livello europeo; e gli elogi sparsi a piene mani per Rooney e Cristiano Ronaldo, alla loro velocità e alla loro professionalità, sono suonati come una sentenza di condanna in particolare per Zlatan Ibrahimovic. Che nel primo tempo si è mangiato due gol fatti e nel secondo ha giocato come solo lui sa fare quando incappa in una giornata di luna storta (e in Europa gli succede spesso): una partita indisponente. Ebbene. Sul fatto che Ibra abbia sostanzialmente fallito la prova del nove dell'Old Trafford non ci piove: ma tessere gli elogi di Rooney e Cristiano Ronaldo non ci è sembrata una delicatezza nei confronti di un giocatore che bene o male, in campionato, ha vinto da solo metà partite dell'Inter, spesso togliendo le castagne dal fuoco a un allenatore incapace di raccapezzarsi altrimenti.
ADDORMENTATO. Ancora: il fatto che Mourinho scopra in data 11 marzo 2009 che il Manchester United è una squadra di altra categoria – e che l'Inter deve mettersi a tavolino per studiare il modo di imitarlo – ci sembra grave, per un addetto ai lavori del suo livello. Roba da licenziamento per giusta causa. Sarebbe come se un architetto scoprisse che il terreno su cui ha edificato un palazzo è a rischio sismico: lo sapevano tutti ma lui no, e lo scopre solo dopo, a crollo avvenuto. Siamo seri: che il Manchester sia il club campione d'Europa e del Mondo in carica lo sanno anche i bambini; e che sia meglio evitare d'incontrarlo, sul proprio cammino, nella speranza di affrontarlo in finale, pure. Invece Mourinho non sembra neanche pensarci. E tanto per cominciare la sua Inter non fa nulla per arrivare prima nel girone eliminatorio (e mettersi al riparo dal rischio-Manchester negli ottavi) tant'è che addirittura pareggia 3-3 in casa dei ciprioti dell'Anorthosis e si fa battare in casa 1-0 dai greci del Panathinaikos: il che – ne converrete – è un'impresa. Succede così che in un girone di difficoltà infima l'Inter si piazzi seconda alle spalle del Panathinaikos: con Mourinho che minimizza e tranquillizza tutti assicurando che primi o secondi cambia poco perché tanto l'Inter è in grado di battere chiunque. Invece cambia. Perché il Panathinaikos, primo nel girone, in sede di sorteggio pesca il Villareal (che tre anni fa eliminò l'Inter di Mancini, è vero, ma insomma potrebbe essere un avversario abbordabile) mentre l'Inter, seconda nel girone, pesca il Manchester United. Che sbatte fuori l'Inter senza tanti complimenti, ridicolizzandola a San Siro e piegandola con qualche fatica all'Old Trafford, venendo “scoperta”, nell'occasione, da Mourinho: che guarda incantato al suo gioco e ai suoi campioni e che in tivù, di lì a poco, dice: sì, il Manchester è di un'altra categoria. Complimenti!
PALLONE D'ORO. Ad onor del vero, Mourinho non era la sola persona al mondo a non sapere quanto forte fosse il Manchester. A fargli compagnia c'era Zlatan Ibrahimovic che a San Siro, dopo il miracoloso 0-0 del match d'andata – con gli inglesi che impartiscono all'Inter una memorabile lezione di calcio -, aveva avuto la faccia tosta di dire: “Abbiamo il 100 per 100 di probabilità di passare il turno”. Appunto. Al buon Ibra – e allo sterminato popolo dei suoi adoratori – ora che l'Inter è tornata a casa con la coda tra le gambe bisognerebbe forse spiegare che è il caso di smetterla, ogni volta che Zlatan segna due gol al Lecce, di reclamare a gran voce il Pallone d'Oro per l'incompreso bomber svedese. Perché il Pallone d'Oro è una cosa seria. E ad esempio viene dato a Kakà che all'Old Trafford, in una semifinale di Champions, col Milan sotto per una papera di Dida ribalta il risultato e segna a Van der Sar due gol di folgorante bellezza: e due settimane dopo completa l'opera incenerendo il Manchester a San Siro, al pronti-via, con una saetta sotto il diluvio. Il Pallone d'Oro è una cosa seria e ad esempio viene dato a Cristiano Ronaldo: che Ibra e gli adoratori di Zlatan dovrebbero avere visto all'opera, recentemente, in Inter-Manchester 0-0 e in Manchester-Inter 2-0. Nel caso sia loro sfuggito, si facciano raccontare da Julio Cesar di che attaccante stiamo parlando. Anche se la setta degli adoratori di Ibra non si rassegna, è forse il caso di ricordare la classifica del Pallone d'Oro 2008, con tanto di voti assegnati:
1. Cristiano Ronaldo (Portogallo, Manchester Utd), 446 punti
2. Lionel Messi (Argentina, FC Barcelona), 281 punti
3. Fernando Torres (Spagna, Liverpool), 179 punti
4. Iker Casillas (Spagna, Real Madrid), 133 punti
5. Xavi Hernandez (Spagna, FC Barcelona), 97 punti
6. Andrei Archavine (Russia, Zenit St Petersburg), 64 punti
7. David Villa (Spagna, Valencia CF), 55 punti
8. Kakà (Brasile, Milan), 31 punti
9. Zlatan Ibrahimovic (Svezia, Inter Milan), 30 punti
10. Steven Gerrard (Inghilterra, Liverpool), 28 punti
Sì, avete letto bene: primo Cristiano Ronaldo con 446 punti, nono Zlatan Ibrahimovic con 30 punti. E davanti a Ibra non ci sono solo Torres e Xavi Hernandez, ma anche Archavine e David Villa, che non sono esattamente Maradona e Bobby Charlton. Tanto per chiarire che i gol segnati a Sorrentino del Chievo e a Puggioni della Reggina sono importanti, certo, e nessuno lo mette in dubbio: ma in Europa di simili prodezze non si accorge nessuno.
E per dirla tutta: sia nell'Ajax che nella Juventus che nell'Inter, non c'è stato un anno in cui Ibrahimovic non abbia preso parte alla Champions League. Ebbene: forse non tutti lo sanno, ma gironi eliminatori a parte, dopo 8 anni Ibra aspetta ancora di segnare il suo primo gol in un ottavo di finale, o quarto di finale, o semifinale (ammesso che ci arrivi, naturalmente), o finale (idem come sopra). Se non avessimo paura di esagerare, diremmo che Zalayeta – al confronto – è Pelè.