Ti ho detto che non avresti capito perchè mi sembri particolarmente rigido, direi catechizzato, riguardo le tue posizioni. Le tue risposte alle mie affermazioni confermano quello che pensavo infatti hai travisato tutto, o quasi, quello che ho detto.
Ti ho detto che non avresti capito perchè mi sembri particolarmente rigido, direi catechizzato, riguardo le tue posizioni. Le tue risposte alle mie affermazioni confermano quello che pensavo infatti hai travisato tutto, o quasi, quello che ho detto.
Tutto cambia, sempre.
Stagione 30: 3° in X.387 Alex Ripollès capocannoniere
Stagione 31: 1° in X.387 Alex Ripollès capocannoniere
Stagione 32: 1° in IX.972 Anders Edenell capocannoniere
Stagione 33: 2° in VIII.2043
Stagione 34: 1° in VIII.2043 John Cowart capocannoniere
Stagione 35: 3° in VII.842 Dag Omang capocannoniere
Stagione 36: 3° in VII.842 Sebastian Gijsen capocannoniere
Fiero sostenitore delle campagne acquisti fatte a muzzo.
Se portare avanti le proprie idde è rigido...allora lo sei anche tu..catechizzato....si..dalla vita....
Se ho travisato è forse perchè tu hai sbagliato a esprimerti? (è possibile?).....perciò ti dico che di certe cose sarebbe opportuno parlarne davanti a una perona fisica......
I conti della Chiesa ecco quanto ci costa
di CURZIO MALTESE
"Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i
soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non
esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota
e nera. Un anno dopo l'arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto
vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus,
dall'arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La
crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il
giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per
aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma
dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più
azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall'86 e presidente dal
'91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica
e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo
centrale nel dibattito pubblico italiano e all'interno del Vaticano,
come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande
elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell'ascesa di Ruini sono legate all'intelligenza, alla
ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del
personaggio. Ma un'altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto
per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della
Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto
sull'Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all'anno.
Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli
stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale,
attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l'ultima parola su ogni
singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una
missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dall'otto per mille, la voce più nota, parte l'inchiesta di Repubblica
sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è
semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti
diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai
calcolato in quattro miliardi di euro all'anno. "Una mezza finanziaria"
per "far mangiare il ceto politico". "L'equivalente di un Ponte sullo
Stretto o di un Mose all'anno".
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri
giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della
democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150
mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all'ultimo consigliere
di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti,
le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i
rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu
e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la
stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto
approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti
anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica
costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto
politico. Oltre quattro miliardi di euro all'anno, tra finanziamenti
diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La
prima voce comprende il miliardo di euro dell'otto per mille, i 650
milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell'ora di religione
("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire",
nell'opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700
milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e
sanità. Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi,
dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all'ultimo raduno di Loreto (2,5
milioni di euro), per una media annua, nell'ultimo decennio, di 250
milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla
Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al
Vaticano, oggi al centro di un'inchiesta dell'Unione Europea per "aiuti
di Stato". L'elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza
si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso
per l'Ici (stime "non di mercato" dell'associazione dei Comuni), in 500
milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni
l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che
gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di quaranta milioni di
visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all'anno,
dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all'anno,
più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli
democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli
italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli,
ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della
democrazia", magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai
preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte
perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell'otto per mille sull'Irpef,
studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all'epoca "di sinistra"
come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa
cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60
per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma
grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte
ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio,
Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale.
Una mostruosità giuridica la definì già nell'84 sul Sole 24 Ore lo
storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell'otto per mille,
rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben
destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria,
d'accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti
sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le
falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l'impegno nel Terzo
Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire
dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte
insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull'otto per
mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei
vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e
all'estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri
quattro euro servono all'autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento
del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani,
rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce
all'interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio
controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di
catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l'altro
paradosso: se al "voto" dell'otto per mille fosse applicato il quorum
della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime
culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso,
doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane
usano il danaro dell'otto per mille "per troncare e sopire il dissenso
nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa
padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell'Avvenire, il
quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L'altra faccia dell'otto per
mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell'otto per mille ha
conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti
ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo
che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un
seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea
generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti -
conclude l'autore - i soli che in Italia si permettono di parlare
schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in
pensione, che non hanno più niente da perdere...".
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa
padrona", rifiutato in blocco dall'editoria cattolica e non pervenuto
nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e
all'uso "ideologico" dell'otto per mille non è affatto nell'universo dei
credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo
Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe
Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I
vescovi non parlano più, aspettano l'input dai vertici... Quando fanno
le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi
fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato
indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il
dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia
nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno
degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa:
"Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa,
a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa
solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo
quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".
La Chiesa di vent'anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua
scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le
finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La
cultura cattolica si sente derisa dall'egemonia di sinistra, ignorata
dai giornali laici, espulsa dall'universo edonista delle tv commerciali,
perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa
ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno
mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti
seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa,
come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l'antimafia, con le omelie
del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio,
l'impegno di don Italo Calabrò contro la 'ndrangheta.
Dopo vent'anni di "cura Ruini" la Chiesa all'apparenza scoppia di
salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa
l'agenda dei media e influisce sull'intero quadro politico, da An a
Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il
clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai
raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record
di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono
sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di
vocazioni ha ridotto in vent'anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti
religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dell'illusoria equazione mediatica "visibilità uguale
consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita
reale rischia d'inverarsi la terribile profezia lanciata trent'anni fa
da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti
l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro
che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con
la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per
lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si
chiamava Joseph Ratzinger.
Damn the soul of your dead ancestors
Ultima modifica di Atta7; 25-07-2008 alle 13:37
Tutto cambia, sempre.
Stagione 30: 3° in X.387 Alex Ripollès capocannoniere
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Fiero sostenitore delle campagne acquisti fatte a muzzo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Finanzi...lica_in_Italia
Manco le bollette...
Qui si comincia ad esagerare però...
http://fabristol.wordpress.com/2008/...ner-censurati/
Se mi mettono ad attaccare anche i blog stiamo freschi...
Tutto cambia, sempre.
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Consiglierei la lettura de "La vera Questa" di Umberto Folena.
Sarebbe anche bello che i giornalisti (non tutti per carità ma ormai la netta maggioranza, anche quelli più "famosi"), prima di scrivere, facessero dei doverosi controlli (vale sia per questo caso che per la valanga di false informazioni che quotidianamente ci propinano).
Così almeno si potrebbero fare dibattiti con dati corretti e non con fantasiosi dati ideologici
Vavar Rivers in BB