Perché condanno Sharon - di Igor Man
A lume di candela, Arafat, praticamente carcerato in quello che fu il suo studio, scrive le sue (ultime?) lettere al mondo. C'è qualcosa di romanticamente arcaico in questo scrivere a lume di candela la cronaca dell'istante destinata a diventare Storia. Stendhal scrisse Il rosso e il nero alla luce ricca dei candelabri della Certosa. Si considerava, scrisse, ostaggio della bellezza. Arafat è ostaggio d'un vecchio nemico in debito di ossigeno, affetto da bulimia territoriale, di un uomo che non ha mai nascosto di odiarlo e che a distanza di vent'anni, lui, Sharon, si dice "pentito" di non aver ucciso Mister Palestina durante la battaglia di Beirut, nel 1982
C'è qualcosa di illuminante in questo buio rischiarato da umili steariche, laggiù, in quello che fu l'effimero regno della speranza palestinese. Vediamo chiaramente che la grande illusione è soltanto una illusione che ci siamo portati appresso ancora sino a un anno fa, prima della passeggiata derisoria di Sharon sulla Spianata delle Moschee. La seconda intifada, quella di Al Aqsa, nasce da una provocazione che apparve banale, improvvida e invece era stata studiata, fin nei minimi dettagli, la passeggiata, dico, per recidere il filo della residua speranza, per dire con protervia non solamente ai palestinesi ma altresì all'Europa, al mondo intero, che se pace doveva esserci in Terra Santa non sarebbe stata quella abbozzata coraggiosamente dagli accordi di Oslo. No. Per la destra israeliana, per Sharon che ne è il poster e l'ideologo, era possibile immaginare soltanto un patto leonino truccato col cosmetico della acquiescenza americana, da "pace possibile". Cosa intende la destra israeliana per "pace possibile"? Una serie di bandustan per i palestinesi, una Soweto mediorientale. Nessuno, neanche il più sprovveduto dei dirigenti palestinesi, nemmeno un Quisling, avrebbe mai potuto accettare una pace finta e cattiva come quella proposta dalla Destra israeliana. Sharon non è uno stupido: sapeva benissimo che la sua idea di pace aggiungeva nuovo magma alla disperata colata lavica della disgrazia palestinese. Egli s'era impegnato, col suo popolo generoso, paziente, coraggioso, affamato di pace e di sicurezza, a garantire la sicurezza di Israele, appunto, in forza di una "politica realistica che tenesse conto della realtà geopolitica, della lezione della Storia recente".
Al punto in cui stanno le cose, quando ormai sul popolo Palestinese sta franando una nuova Nabka (catastrofe) può apparire sterile contestare al governo Sharon una politica dissennatamente volta a impedire una pace in buona e dovuta forma. Ma pensiamo sia legittimo per chi segue da cinquant'anni la questione mediorientale reagire a quella che si profila come una (ennesima) truffa storica.
Al mondo, soprattutto all'amico fedele e acritico: gli Stati Uniti d'America, cosa dice in sostanza Sharon? Dice: io sto combattendo contro il terrorismo. Io perseguito i terroristi. Io voglio punire Arafat che è cattivo e falso: non vuole la pace, ci terrorizza con gli attentati suicidi, mettendo quotidianamente a repentaglio la vita degli israeliani. Quando avremo battuto il terrorismo, eliminando Arafat, solo allora potremo parlare di pace nella sicurezza. E' un discorso che non può non impressionare in primo luogo il presidente Bush che s'è visto stuprare (da terroristi insospettabili) le Torri Gemelle, e con esse il mito della invulnerabilità americana. Ma è un discorso tragicamente banale, non degno d'un uomo politico, di un onesto soldato quale Sharon vuol essere o apparire.
Ignorava il signor Sharon, generale, che il terrorismo suicida esplode in Libano, contro l'occupazione israeliana, e che ad importarlo sono stati i pasdaran spediti negli anni Ottanta da Khomeini nell'infelice Paese dei cedri? Ignora il signor Sharon che gli Hezbollah (il partito di Dio, di matrice sciita) praticano il terrorismo suicida convinti che alla fine, stroncherà psicologicamente i soldatini di Tsahal? Ignora il signor Sharon che il suo predecessore, il premier generale Barak, fu costretto a ritirare precipitosamente dal Libano le sue truppe per evitarne il collasso psicologico? Ignora che una volta partiti i soldatini di David, il terrorismo suicida s'è messo in sonno nel Libano?
No il signor Sharon non ignora nemmeno una virgola di tutto ciò. Perché, allora, la passeggiata di provocazione? Perché, una volta conquistato il potere, ha voluto inaugurare una politica ambigua, fatta di punture di spillo, di docce scozzesi infine sfociata in una vera e propria guerra a bassa intensità? Perché ha pigiato l'acceleratore, brutalmente, ben sapendo dei disgraziati ragazzi dei campi profughi indottrinati dagli ideologi venuti in gran parte dall'Università di Bir Zeit (già aiutata dai servizi affinché religiosamente si opponesse al movimento laico di Arafat)? Perché s'è spinto oltre la provocazione ben sapendo che la reazione sarebbe stata, fatalmente, il terrorismo suicida? Lui, Sharon, accusa Arafat di essere il raiss dei terroristi suicidi, rovesciando l'orrore e la morte da essi seminato in Israele sulle spalle di Arafat. Ma egli, il signor Generale, non ignora che ogniqualvolta è sembrato che si riprendesse a parlare di pace, le liste di attesa degli aspiranti "martiri" si sono svuotate. E' stata la sua politica tesa a umiliare con la forza il diritto a una esistenza decente, riconosciuto universalmente ai palestinesi, innanzitutto dagli intellettuali israeliani, molti dei quali già valorosi soldati e, in ogni caso, patrioti-doc; è stata la sua rozzezza politica, la presunzione d'essere il più forte, il Giusto imbattibile, a far precipitare le cose.
E con quale faccia una persona ragionevole può pretendere da un leader dimezzato, Arafat, che combatta il terrorismo privandolo nel contempo dei mezzi opportuni e indispensabili, limitando la sua stessa autorità sì da impedire, giustappunto, che Arafat possa arrestare, o frenare, i fautori della linea dura, coloro che accusano il vecchio fedayn di aver fallito politicamente, di illudersi nella volontà di pace degli Stati Uniti in Terra Santa?
E' come se tu legassi le caviglie al centometrista per impedirgli di scattare nella corsa, squalificandolo, poi, per non aver corso, fingendo di ignorare, dimenticando che proprio tu, legandolo, gli hai impedito di correre.
Sì lo so: sono discorsi pericolosi questi, guai a toccare Sharon, il meno che può capitarti è d'essere definito "antisemita". Fingendo di ignorare che tu hai rischiato la tua giovine vita, durante l'occupazione tedesca di Roma, proprio per aiutare la resistenza a mettere in salvo ebrei in fuga, allo sbaraglio, molti dei quali tunisini.
Certo il terrorismo è un arma sporca, ne sanno qualcosa gli storici, i cronisti che ricordano le bombe dell'Irgun al King David di Gerusalemme, ovvero la strage di Dear Yassin.
E' un arma sporca e per di più "non risolve". Nemmeno il nuovo terrorismo sporco, questo di oggi, il terrorismo suicida di marca sciita, "risolve". Però ha trasformato la vita della società civile israeliana in un incubo permanente. Ha ragione Bush: "Il cuore ti si spacca vedendo un carnaio che fino a pochi attimi prima era un giardino di pace, di bellezza illuminato dalla Pasqua ebraica".
Sono stati i terroristi suicidi, palestinesi, a uccidersi per uccidere, ma chi li ha convinti a sacrificarsi? Gli apprendisti stregoni. Sollecitati dalla politica del carro armato praticata da Sharon. La Storia non si fa con i se. Ma se un pio giovinetto studioso della Torah non avesse ucciso il soldato della pace, il Generale invitto, Rabin, oggi i due popoli vivrebbero pacificamente l'uno accanto all'altro, imparando a conoscersi. E i terroristi suicidi sarebbero già finiti nell'inferno dei disperati. Nel dimenticatoio della Storia.
Ma sì: che il signor generale Sharon faccia pure fuori il vecchio fedayn, che lo umili come un Ceaucescu qualsiasi: avrà commesso un altro dei suoi tanti tragici errori. Senza, per tanto, aver assicurato al suo popola la sicurezza.
Igor Man
Pubblicato sul portale Yahoo! Notizie il 03.04.2002
Atrocità nella terra promessa - di Kathleen Christison
Atrocità nella terra promessa di Kathleen Christison(*)
La folle brutalità dello Stato Israele
Le parole non bastano; i termini normali sono inadeguati a descrivere gli orrori perpetrati giornalmente da Israele, e che ha perpetrato per anni contro i palestinesi. La tragedia di Gaza è stata descritta centinaia di volte, come le tragedie del 1948, di Qibya, di Sabra e Shatila, di Jenin --sessant'anni di atrocità perpetrati nel nome del Giudaismo. Ma l'orrore in genere non trova ascoltatori in gran parte di Israele, nell'arena politica Usa e nei maggiori media Usa. Coloro che sono inorriditi -- e ce ne sono tanti -- non riescono a penetrare lo scudo di impassibilità che impedisce all' elite politica e dei media in Israele, ancora di più negli Usa, sempre di più ormai in Canada e in Europa, di vedere e di prestare attenzione.
Ma ora bisogna dirlo a voce alta: coloro che pianificano e compiono le politiche di Israele hanno fatto di Israele un mostro, ed è giunta l'ora per tutti noi -- tutti gli israeliani, tutti gli ebrei che permettono che Israele parli per loro, tutti gli americani che non fanno nulla per fermare l'appoggio Usa a Israele e alle sue politiche assassine -- di riconoscere che ci macchiamo moralmente continuando a starcene seduti mentre Israele compie le sue atrocità contro i palestinesi.
Una nazione che assegna ad un'etnia o a una religione il primato su tutte le altre finirà per diventare psicologicamente malata. Narcisisticamente ossessionata dalla sua stessa immagine, dovrà combattere per mantenere la sua superiorità razziale a tutti costi e finirà inevitabilmente per vedere ogni resistenza contro questa immaginaria superiorità come una minaccia alla sua esistenza. Infatti ogni altro popolo diventa automaticamente, solo per il fatto di esistere, una minaccia all'esistenza. Cercando di proteggersi contro minacce fantasma, lo Stato razzista diventa sempre più paranoico, la società chiusa e isolata e intellettualmente limitata. Gli ostacoli lo fanno infuriare; l'umiliazione lo fa impazzire. Lo Stato attaccherà in uno sforzo folle, senza alcun senso della proporzione, per rassicurare se stesso sulla sua forza.
Questo schema si mostrò nella Germania nazista che cercava di mantenere una mitica superiorità ariana. Si sta mostrando ora in Israele. "Questa società non riconosce più alcun confine geografico o morale," scrisse l'attivista antisionista e intellettuale israeliano Michel Warschawski nel suo libro del 2004 “Towards an Open Tomb: The Crisis of Israeli Society” [Verso una fossa aperta: la crisi della società israeliana n.d.t.]. Israele non conosce limiti, sta attaccando perchè trova che il suo tentativo di sottomettere i palestinesi e ingoiare l'intera Palestina viene intralciato da un popolo palestinese silenzioso e dignitoso che rifiuta di sottomettersi senza protestare e di abbandonare la resistenza all'arroganza di Israele.
Noi negli Stati Uniti siamo diventati insensibili alle tragedie inflitte da Israele, e cadiamo facilmente nella propaganda che automaticamente, con un qualche trucco dell'immaginazione, trasforma le atrocità di Israele in esempi di come Israele sia reso vittima. Ma un establishment militare che sgancia una bomba da 500 libbre su un edificio residenziale nel mezzo della notte e uccide 14 civili durante il sonno, come accaduto quattro anni fa a Gaza, non è un esercito che opera secondo regole civili.
Un establishment militare che sgancia una bomba da 500 libbre su una casa nel mezzo della notte e uccide un uomo, sua moglie e sette dei loro figli, come accaduto a Gaza quattro giorni fa, non è un esercito di un paese morale.
Una società che può cancellare come non importante il brutale omicidio, da parte di un ufficiale dell'esercito, di una ragazzina di 13 anni -- una dei quasi 700 bambini palestinesi uccisi da Israele dall'inizio dell' intifada -- con l'affermazione che ella aveva minacciato i soldati di una postazione militare non è una società con una coscienza.
Un governo che imprigiona una ragazzina di 15 anni -- una tra le diverse centinaia di bambini detenuti da Israele -- per il crimine di avere spinto ed essere scappata da un soldato maschio che cercava di perquisirla mentre entrava in una moschea, non è un governo con una condotta morale. (Questa storia, che non è del genere che comparirà mai nei media Usa, è stata raccontata dal London Sunday Times. Alla ragazza fu sparato tre volte mentre scappava ed è stata tenuta per 18 mesi in prigione dopo che fu uscita dal coma.)
I critici di Israele notano sempre più che Israele è autodistruttivo, quasi una catastrofe per la sua stessa costruzione. Il giornalista israeliano Gideon Levy parla di una società in " collasso morale".
Michel Warschawski scrive di una "follia israeliana" e di una "folle brutalità", "putrefazione" di una società civilizzata, che ha messo Israele sulla strada del suicidio. Egli prevede la fine dell'impresa sionista; Israele, egli dice, è una "banda di teppisti", uno stato "che si fa beffe della legalità e della moralità civile. Uno Stato che arriva a disprezzare la giustizia perde la forza di sopravvivere."
Come fa notare amaramente Warschawski Israele non conosce più alcun limite morale -- se mai lo ha conosciuto. Coloro che continuano ad appoggiare Israele, che lo giustificano mentre scende nella corruzione, hanno perso la loro bussola morale.
(*)Kathleen Christison è un ex analista politica della C.I.A. e ha lavorato per trent'anni su questioni mediorientali. E’ l'autrice di “Perceptions of Palestine and The Wound of Dispossession” [Percezioni della Palestina. La Ferita dell' espropriazione n.d.t.].
Può essere contattata a kathy.bill@christison-santafe.com
Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link: http://www.counterpunch.org/christison07172006.html
17.07.2006
Scelto e tradotto per [www.comedonchisciotte.org] da ALCENERO (Marcoc)
Medio Oriente. Gli appelli della Caritas, le testimonianze della popolazione
Medio Oriente. Gli appelli della Caritas, le testimonianze della popolazione
di Mattia Bianchi/18/07/2006 korazym.org
Il conflitto mediorientale non è solo un groviglio politico e diplomatico da sciogliere: il Libano è ripiombato ormai in una vera e propria emergenza umanitaria. Gli appelli e le testimonianze...
Il conflitto mediorientale non è solo un groviglio politico e diplomatico da sciogliere: il Libano è ripiombato ormai in una vera e propria emergenza umanitaria. Gli appelli e le testimonianze...
Il conflitto mediorientale non è solo un groviglio politico e diplomatico da sciogliere: il Libano è ripiombato ormai in una vera e propria emergenza umanitaria. La denuncia arriva dalla Caritas, da sempre impegnata nelle zone di crisi, secondo cui sono ormai migliaia le persone in fuga dai villaggi del sud del Paese, a ridosso di Israele. E se le ong straniere hanno ricevuto dai rispettivi governi il consiglio di lasciare il Paese, i volontari sono già attivi per i primi aiuti, dal trasporto delle persone più deboli alla distribuzione di pane e latte. Generi che cominciano a scarseggiare, come l'acqua per via degli acquedotti danneggiati.
“Le notizie che arrivano dal Libano, da Israele e dai Territori palestinesi ci riempiono di grande preoccupazione – dice mons. Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana - per l'ennesima volta le armi prevalgono sul dialogo e sulla paziente negoziazione”. “Dopo un periodo di relativa calma, nonostante la presenza di truppe israeliane nel sud del Paese fino al maggio 2000, e di quelle siriane fino all'aprile 2005 – continua mons. Nozza - il paese sembra oggi ricadere in una spirale di violenza, come del resto tutto il Medio Oriente. Unendo la propria voce ai numerosi appelli che hanno chiesto e continuano a chiedere che si torni al dialogo affinchè tutti i popoli della regione possano vivere in pace e in sicurezza, Caritas Italiana auspica un ampio coinvolgimento e una pronta risposta solidale delle nostre comunità per poter intensificare gli interventi in Terra Santa”.
Sulla stessa linea anche la Caritas Internationalis, la confederazione delle 162 realtà locali, che chiede un cessate il fuoco immediato “affinché venga fermata la strage di vittime umane”. ”Guidati dall'insegnamento sociale della Chiesa cattolica - ha continuato la Caritas Internationalis – e in linea con il diritto umanitario internazionale, noi chiediamo la fine di tutte le violenze e l'inizio di un negoziato costruttivo orientato a trovare soluzioni di lungo termine. Gli stati e le autorità che ignorano il diritto internazionale dimostrano di non rispettare le convenzioni che loro stessi hanno firmato''. Tuttavia, l'organizzazione ha precisato ''di credere in una giusta pace in Medio Oriente”, che passi dal ruolo della Comunità internazionale per aiutare “i popoli di Israele, Palestina e Libano a fare marcia indietro ed evitare l'esplosione di una guerra su vasta scala”.
Intanto, dal Libano cominciano ad arrivare le prime testimonianze. Come quella di un giovane francescano, chierico studente al convento di Santa Chiara di Napoli, tornato in questi giorni a Beirut dalla sua famiglia. “Il bombardamento è stato tragico – ha scritto il giovane alla Custodia di Terra Santa di Gerusalemme - non ci sono più nè aeroporti nè porti, e nemmeno i confini con la Siria perchè li hanno attaccati. Stanno bloccando ogni zona ed eliminando tutti i passaggi fra le città. Stanno distruggendo i piccoli villaggi, specialmente nel Sud. Purtroppo nessun Paese ci sta aiutando”. La gente è sconvolta: “Quello che accomuna i libanesi è la solidarietà, ma anche una grande tensione e molto stress. Chiediamo che Israele si fermi almeno un giorno, perchè sono cinque giorni che bombardano senza pausa”. Il timore di rimanere isolati si avverte anche nella lettera delle Suore Clarisse di Beirut. “Tutte le vie di comunicazione sono impraticabili, via terra, aria e mare. Ci resta ancora il telefono, Internet e i cellulari. Per questo vi mando queste poche notizie, nel caso anche questi mezzi vengano soppressi”.
Crisi nei media nell'informazione su Gaza
Crisi nei media nell'informazione su Gaza
L'importanza dell'informazione libera nella formazione dell'opinione pubblica sul conflitto israelo-palestinese.
di Patrick O'Connor
5 Luglio 2006
Un elemento che alimenta l'attuale crisi di Gaza è il continuo fallimento dei grandi media USA nel coprire adeguatamente il conflitto israelo-palestinese. La politica USA, l'opinione pubblica e la copertura da parte dei mainstream media sono tutti pericolosamente sbilanciati verso Israele. La copertura dei media riflette ed influenza la politica e la pubblica opinione. La copertura dei media degli eventi di Gaza illustra ancora in che modo i grandi media americani privilegino la versione israeliana, e frequentemente ignorino sia le esperienze dei Palestinesi che il diritto internazionale, fornendo al pubblico USA ed ai politici solo parte della storia.
Domenica, il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha ammesso che era sua intenzione commettere crimini di guerra a Gaza, dicendo ai membri del suo gabinetto che lui voleva che "nessuno dormisse a Gaza stanotte". Olmert pertanto ha ufficialmente ammesso la politica israeliana di punire 1,4 milioni di Palestinesi, una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Ma nessuno dei tre principali quotidiani USA -- il New York Times, il Washinton Post e il LA Times -- ha riferito l'affermazione di Olmert, anche se essa è stata ampiamente citata nel mondo.
La scorsa settimana, questi tre principali quotidiani hanno anche pubblicato editoriali a deciso sostegno del diritto di "rappresaglia" d'Israele dopo la cattura di un soldato israeliano. I loro editoriali non hanno mai menzionato un solo elemento del brutale assedio di 10 mesi da parte d'Israele su Gaza. In un ammonimento in un editoriale a sostegno della guerra in Iraq, il Post assunse la posizione più belligerante, plaudendo la "moderazione" israeliana ed approvando il rovesciamento dell'Autorità Palestinese a guida Hamas. Sebbene i principali quotidiani hanno pubblicato alcuni buoni articoli sul punto di vista palestinese negli scorsi giorni, la loro fondamentale faziosità verso Israele è rimasta più che evidente.
Il 2 Luglio Ehud Olmert ha detto ai suoi colleghi di governo "io voglio che nessuno dorma stanotte, voglio che capiscano cosa significa" questo nei centri abitati vicino Gaza che sono state colpite dai razzi palestinesi Qassam. La sua affermazione si riferiva direttamente alla pratica israeliana di svegliare i Palestinesi nel cuore della notte con ripetuto voli di jet per rompere il muro del suono, e i bombardamenti notturni di Gaza. Inoltre, Israele di notte tiene svegli gli abitanti di Gaza col timore della povertà, l'assedio, gli attacchi imminenti, e la mancanza di elettricità, acqua, combustibile e cibo. L'affermazione di Olmert è stata ampiamente riportata sui media israeliani, della dall'Associated Press, da The Chicago Tribune, da The International Herald Tribune, e dal britannico Guardian, tra gli altri. Una ricerca su Google su questa citazione evidenzia 279 articoli, per lo più da siti web di giornali degli Stati Uniti. Alcuni di questi giornali hanno senza dubbio stampato questa storia.
Tuttavia non c'è nessun indizio delle parole di Olmert sul LA Times e sul Washington Post. La copertura del New York Times è più interessante. I corrispondenti del New York Times Steven Erlanger e Ian Fisher hanno riportato la citazione in un articolo on line che è stato pubblicato anche dall'International Herald Tribune. Comunque, la citazione non è mai apparsa sulla versione cartacea del giornale. I redattori del Times sembrano aver deciso che le parole di Olmert non erano "adatte per la stampa", e le hanno cancellare dall'articolo del loro giornalista. La cospicua assenza di una citazione così ampiamente riportata ed emblematica solleva la possibilità che i principali giornali USA attivamente evitano di stampare ciò che fa apparire Israele troppo scopertamente cattiva.
Ciò che è certo e che i principali giornali USA generalmente omettono il contesto dei diritti umani e del diritto internazionale, così come il correlato concetto di punizione collettiva, e proporzionalità, tutte cose continuamente violate da Israele. Il 2 Luglio, l'organizzazione dei diritti umani B'Tselem ha specificamente criticato l'affermazione di Olmert, dicendo che, "L'uso dei boom sonici è una flagrante violazione di molte disposizioni del diritto internazionale. La più significativa disposizione è la proibizione alla punizione collettiva, L'articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra... afferma categoricamente che le 'pene collettive ed ugualmente tutte le misure di intimidazione terroristica sono proibite'". Oltre a criticare i boom sonici, Human Rights Watch ha osservato il 29 Giugno che "Le leggi di guerra proibiscono attacchi su 'oggetti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile'". L'attacco d'Israele alla sola centrale elettrica di Gaza è in violazione dei suoi obblighi a salvaguardare questi oggetti dagli attacchi'".
La dura punizione collettiva dei Palestinesi è stata storicamente la pietra di volta della politica israeliana, e caratterizza l'assedio israeliano di Gaza, i tre principali giornali USA hanno usato la frase "punizione collettiva" appena quattro volte dall'inizio della recrudescenza della crisi i 25 Giugno. Ogni giornale ha citato l'affermazione del leader palestinese Mahmaoud Abbas una volta, e il New York Times ha anche citato il proprietario di una drogheria palestinese. Questi stessi giornali hanno stampato la frase "punizione collettiva" per un totale di sole altre sei volte quest'anno nei loro servizi sul conflitto Israelo-palestinese. Dal Giugno 25 questi giornali hanno usato le parole "terrorista" o "terrorismo" 28 volte per descrivere i Palestinesi, mentre hanno detto "occupazione" solo sei volte per descrivere le azioni israeliane. Le citazioni dell'illegalità degli insediamenti israeliani, il Muro, la demolizione di case, la detenzione di Palestinesi, e molte altre misure sono ugualmente rare. Mentre questi quotidiani documentano le crisi umanitarie sofferte dai Palestinesi, essi generalmente evitano di suggerire che i Palestinesi hanno gli stessi diritti degli Israeliani, o che c'è un accettato sistema legale che dovrebbe essere applicato non solo agli attacchi palestinesi, ma anche alle azioni israeliane.
Allo stesso modo, nel prendere posizione nell'attuale crisi, queste redazioni di giornali cancellano completamente le più recenti violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Tutti e tre i giornali hanno biasimato solo Hamas. L'editoriale del New York Times del 29 Giugno ha sottolineato le "irresponsabili provocazioni di Hamas", e l'editoriale del 1 Luglio del Washington Post dal titolo "La guerra di Hamas" ha evidenziato gli atti di terrorismo e guerra" di Hamas. Scrivendo come se la storia iniziasse il 25 Luglio con la cattura del soldato Israeliano e l'attacco palestinese si fosse materializzato dal nulla, nessuno dei loro editoriali fa cenno alla violenza sproporzionata di Israele -- i 39 anni di occupazione militare; i 176 palestinesi uccisi nel 2006, molti dei quali civili e bambini, a paragone dei 16 Israeliani uccisi; 8300 granate d'artiglieria lanciate dentro Gaza quest'anno a paragone degli 840 razzi palestinesi lanciati verso Israele; i continui sequestri di terra da parte di Israele; o il soffocante assedio di Gaza. Solo il New York Times ha fatto menzione del fatto che Hamas sta ora rompendo la tregua unilaterale durata 16 mesi. Gli editoriali dei giornali israeliani hanno più sfumature e maggior equilibrio che questi editoriali USA.
Nessuno degli editoriali ha rilevato che il Palestinesi uccisero e catturarono soldati israeliani impegnati nell'assedio di Gaza. Nessuno ha rilevato l'ironia del fatto che i Palestinesi stavano tenendo prigioniero un solo soldato israeliano, mentre Israele sta detenendo 9.000 prigionieri, molti civili che non hanno avuto un processo, ed alcuni sottoposti a tortura. In una frase che avrebbe potuto essere scritta da una agenzia di pubbliche relazioni del governo israeliano, i giornalisti del Post hanno scritto che "i militanti chiedono a Israele il rilascio di prigionieri palestinesi legalmente arrestati i cambio di un soldato che è stato attaccato mentre sorvegliava il territorio israeliano".
Dopo la razionalizzazione dell'arresto da parte di Israele di 60 leader di Hamas, molti dei quali ministri dell'Autorità Palestinese, i giornalisti del Post hanno sminuito la distruzione di una centrale elettrica che fornisce a Gaza metà della sua energia. In una espressione finale di oltraggio che combina sia la cecità verso la violenza di Israele che la completa indifferenza verso il diritto internazionale, l'editoriale del Post del 1 Luglio raccomandava che gli Stati Arabi e le Nazioni Unite smettessero di "protestare rumorosamente contro presunti crimini di guerra israeliani".
Una volta ancora, la propaganda del governo israeliano travolge la versione palestinese, e i diritti umani e il diritto internazionale sono messi da parte. Questi esempi illustrano come i grandi media americani stanno dando attivamente forma all'informazione destinata al pubblico USA a vantaggio di Israele, e stanno promuovendo l'idea che Hamas e il terrorismo palestinese sono i soli problemi del conflitto in atto. Senza una copertura più equilibrata dai media dell'establishment come New York Times, Washington Post e LA Times, è improbabile che la politica USA e l'opinione pubblica acquisiscano a loro volta un maggiore equilibrio verso il conflitto israelo-palestinese. La necessità del mediattivismo sul tema di Israele e Palestina è più vitale che mai.
Libano 2006: il peggiore dei deja vu - di Carlo Bertani
di Carlo Bertani
Se non intervenisse l’informazione di regime a rimescolare le carte – perché hanno la coda di paglia – sarebbe addirittura noioso commentare la guerra in Libano: potremmo cercare articoli di vent’anni fa che narravano di Beirut, cambiare qualche nome e ripubblicarli.
Invece la protervia infinita di chi non rinuncia a gettare sabbia negli occhi per celare una verità che è lampante stimola, e torna la voglia di scrivere.
Anzitutto l’uso delle parole, che non è casuale.
Tutta la crisi sembrerebbe nata dal rapimento di tre soldati israeliani, uno a Gaza e gli altri due sul confine libanese, ma da quando mondo è mondo i soldati non si rapiscono, si catturano.
I soldati vengono catturati e non rapiti perché i militari sono lì per fare la guerra, non per piantare margherite, ed i soldati israeliani sparano, eccome se sparano: ogni giorno che passa è uno stillicidio di vittime – moltissimi bambini – che entrano nei disastrati ospedali palestinesi, sempre che non siano colpiti anche gli ospedali – come fecero gli americani a Falluja – con la scusa della “lotta al terrorismo”. Niente paura, dopo i misfatti gli israeliani si scusano sempre: sono una nazione “democratica”, ed in “democrazia” il bon ton non deve mancare.
Anche sul numero delle vittime civili la tradizione è rispettata: per difendersi dagli attacchi dei razzi lanciati da Hezbollah – che hanno provocato ad oggi 10 vittime civili in Israele – l’aviazione di Tel Aviv ne ha ammazzate (solo i civili) 200 in Libano. Il classico rapporto di 1 : 20 è rispettato, come nelle peggiori rappresaglie di guerra: almeno, i repubblichini di Salò attuavano un più “modesto” 1 : 10.
Sono state uccise intere famiglie, addirittura una famiglia canadese in visita ai parenti in Libano ed un casco blu indiano, dopo che Tzahal aveva preso di mira anche le forze ONU sul confine. E non si venga a dire che è stato un “errore” colpire due distinti raggruppamenti di caschi blu perché l’esercito israeliano, quando spara, sa bene su chi spara. Tanto, dopo si scusa.
Chi invece rapisce, e non cattura, è proprio Israele, che nei giorni scorsi ha “catturato” tre ministri dell’Autorità Palestinese: attenzione, tutta la stampa usa il termine “catturati”, ma nessuno ha mai sentito parlare della “cattura” di un ministro, semmai del rapimento, perché i ministri non sono dei combattenti.
Quindi, se vogliamo osservare con freddezza gli eventi, chi si è macchiato per primo del crimine di rapimento non sono gli Hezbollah, ma Israele: tanto per farlo sapere alla gran parte della politica italiana, che non perde occasione per genuflettersi in direzione di Tel Aviv.
Veniamo allora alla presenza di Hezbollah in Libano, ed alla richiesta d’attuazione della risoluzione 1559 dell’ONU che chiede proprio il disarmo delle milizie islamiche nel Paese dei Cedri. La richiesta è corretta, giacché proviene proprio dal Palazzo di Vetro; domandiamoci: perché Hezbollah è in Libano?
Inutile raccontare frottole: Hezbollah è un’emanazione di Teheran, che è lì per attuare un piano che dovrebbe condurre l’Iran a diventare il nuovo stato “guida” del Medio Oriente, sostituendo la muta Arabia Saudita ed il balbettante Egitto.
La ragione della presenza di Hezbollah, anche se strumentale, è pur sempre l’occupazione militare da parte di Israele dei territori conquistati con una guerra d’aggressione nel 1967, in aperto spregio della legalità internazionale.
Già, affermano i nuovi amici d’Israele – Fini in testa, che dell’antisemitismo dovrebbe saperne qualcosa – ma la risoluzione 1559 deve essere attuata, punto e basta. Giusto, ma allora attuiamo tutte le risoluzioni ONU e facciamola finita.
L’ONU attende ancora che sia attuata la risoluzione 338. Cosa raccontava la risoluzione 338 del 1973?
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Risoluzione 338 del 22 Ottobre 1973
Il Consiglio di Sicurezza,
1 - Richiama le parti al presente combattimento per cessare il fuoco e terminare immediatamente tutte le attività militari, non più tardi di dodici ore dall’adozione di tale risoluzione, nelle posizioni che occupano ora.
2 - Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.
3 - Decide che, immediatamente ed in concomitanza con il cessate il fuoco, inizieranno negoziati tra le parti in causa sotto i migliori auspici volti a garantire una immediata e duratura pace al Medio Oriente
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La risoluzione 338 fu emanata dall’ONU subito dopo la guerra di Yom Kippur e – cosa strana – richiamava l’applicazione di un’altra risoluzione – la numero 242 – che evidentemente gli israeliani avevano dimenticato: chissà perché questo vuoto di memoria…
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Risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
Il Consiglio di Sicurezza, esprimendo il suo continuo rammarico per la grave situazione in Medio Oriente,
Sottolineando l’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso la guerra, e la necessità di lavorare per un’immediata e duratura pace per tutti gli Stati dell’area,
Sottolineando ulteriormente che tutti gli Stati Membri con la loro accettazione del Trattato hanno sottoscritto l’impegno ad agire in conformità all’articolo 2 del Trattato,
I. Afferma che l’applicazione dei principi del Trattato, richiede un’immediata e duratura pace in Medio Oriente, che dovrebbe includere entrambi i seguenti principi:
a. Ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto.
b. Termine di tutte le rivendicazioni e stati di belligeranza, e rispetto per il riconoscimento di sovranità, integrità territoriale e sovranità politica per ogni Stato dell’area e il loro diritto a vivere in pace, con confini sicuri e riconosciuti e liberi da trattati e atti di forza.
II. Afferma inoltre la necessità:
a: Di garantire libertà di navigazioni attraverso le acque internazionali dell’area.
b: Di una giusta soluzione del problema dei profughi.
c: Di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni Stato dell’area, attraverso misure, tra cui l’istituzione di zone demilitarizzate.
III. Richiede al Segretario Generale di nominare un Rappresentante Speciale, per procedere all’allacciamento ed al mantenimento dei contatti in Medio Oriente con gli Stati riguardanti in ordine la promozione di accordi e per appoggiare gli sforzi per ottenere una pacifica ed accettata stabilizzazione dell’area in accordo con le previsioni ed i principi di questa risoluzione.
IV. Richiede al Segretario Generale di riferire sui progressi degli sforzi il più presto possibile.
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La risoluzione 242 fu emanata dall’ONU all’indomani delle Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Israele decise d’annettersi unilateralmente i territori occupati.
Un preziosismo lessicale agghindava il primo punto della risoluzione, laddove si affermava che la pace in Medio Oriente “dovrebbe includere entrambi questi principi”. Un condizionale, un semplice condizionale richiesto dagli USA per approvare la risoluzione ci ha regalato decenni di guerra e decine di migliaia di morti.
Un condizionale che appare invece superato dalla risoluzione 338 (successiva), poiché lo stesso Consiglio di Sicurezza (evidentemente conscio dei rischi che la situazione conteneva in sé) s’affrettava a ricordare ciò che Israele doveva attuare, ossia: “immediatamente dopo il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.”. La risoluzione doveva essere applicata in tutti i suoi punti, ovvero dovevano essere restituiti il Sinai e Gaza all’Egitto e la Cisgiordania alla Giordania.
Chi è, allora, che non rispetta le risoluzioni ONU?
Perché Tel Aviv è così ostinatamente aggrappata ad un territorio arido, per difendere il quale spende di più di quel che ricava dalle colonie, insomma, un non sense apocalittico?
Ci sono due ragioni che concorrono alla non soluzione del problema palestinese: la prima è di carattere economico, la seconda dottrinale.
La ragione economica è semplicissima: con lo status di “territori occupati” (non contemplato nel diritto internazionale. se non per brevissimi periodi che preludono ad un accordo di pace) Israele si è assicurata manodopera a bassissimo costo per le sue industrie e per il terziario dove non occorre specializzazione.
Migliaia di operai palestinesi varcano ogni giorno i valichi di frontiera per andare a lavorare in Israele, dove sono pagati un’inezia (in confronto alla manodopera israeliana): in aggiunta – essendo manodopera frontaliera – lo stato ebraico non deve provvedere agli oneri sociali ed al welfare per quei lavoratori. Che si arrangino i palestinesi.
E’ pur vero che ci sono delle compensazioni economiche che Israele deve versare alle casse palestinesi per questo “strano” caso di lavoratori stranieri che ogni giorno mandano avanti le industrie e l’agricoltura israeliana, ma recentemente Tel Aviv ha smesso semplicemente di versare quei fondi, affamando Gaza.
L’irrazionalità totale dell’impianto risiede proprio nel fatto che i lavoratori palestinesi – non essendo israeliani e nemmeno stranieri, perché non hanno uno stato d’appartenenza – non hanno status, o forse l’unico status giuridico che è possibile assegnare loro è quello di schiavi o di apolidi.
Le ragioni dottrinali affondano le loro radici nel Pentateuco:
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22 Poiché se osserverete diligentemente tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui,
23 il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v'impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi.
24 Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al Mar Mediterraneo.
25 Nessuno potrà resistere a voi; il Signore vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete.
Deuteronomio, cap. 11, Conclusioni
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Queste sono le ragioni che inducono gran parte degli israeliani a credere che i loro confini orientali dovrebbero estendersi ancora, altro che abbandonare il West Bank.
Anche se altri profeti – ad esempio Ezechiele – affermano che il confine orientale della terra concessa da Dio al popolo eletto si ferma al Giordano, sembra che sia tenuto in maggior conto quel che è scritto nel Deuteronomio. Chissà perché.
E poi ci vengono a raccontare che l’Iran è uno stato fondamentalista.
Carlo Bertani
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