Originariamente Scritto da
aggo85
Vanno chiarite alcune cose sul piano medico-legale.
La legge è chiara riguardo al rifiuto delle cure. Se è chiara la volontà del paziente che venga a trovarsi in stato di incoscienza di rifiutare un intervento medico, nonostante sia presente uno stato di necessità (art 54 cp), il medico non può intervenire, a meno che tale volontà non sia riportata da parenti o conoscenti, eventualità in cui il medico è tenuto a intervenire comunque in virtù dello stato di necessità, rimandando al giudice la decisione, che terrà in considerazione parenti e conoscenti in ordine di legame, a partire dal coniuge, poi i genitori, poi i fratelli etc etc (in questo caso, il primo della lista è il padre). A dire il vero anche qui la questione non è poi così limpida, perché ad esempio non è certa la presunzione che in punto di morte l'incosciente possa cambiare la sua opinione, ma tant'è, questa è la linea che va per la maggiore.
Quindi nel caso di Eluana il giudice ha preso atto dal padre (e per conferma anche da un'amica se non erro) della volontà di Eluana di rifiutare qualsiasi cura qualora si fosse trovata in uno stato X.
Quel che mi fa pensare sul taglio sbagliato che è stato dato alla vicenda, è che sembra che il nodo della questione sia se Eluana si trovasse o no in stato vegetativo. Non è così.
Così come un diabetico può decidere di morire di gangrena piuttosto che farsi amputare un alluce (è successo), non è stabilita una condizione per cui è possibile rifiutare le cure, anche se salvavita (salvo TSO ma questo è un altro discorso).
In sostanza il rifiuto delle cure, volontà di Eluana, stando a quanto dichiarato dal signor Englaro e riconosciuto dal giudice (e qui cade il punto numero 1 del quote), è completamente indipendente dal suo trovarsi in stato vegetativo, o di minima coscienza, o di tetraparesi o quant'altro. Possiamo dare al signor Englaro del bugiardo ed è una nostra opinione (fondata su cosa non lo so), ma fatto sta che un giudice ha riconosciuto come valida la sua dichiarazione.
Come possiamo appellarci a definizioni mediche per stabilire la volontà di Eluana? Siamo in grado di dire se avrebbe voluto vivere in stato di minima coscienza oppure no? Sinceramente non credo, visto che all'epoca dell'incidente non era neanche stato definito. Ma anche se lo fosse stato, l'avrebbe conosciuto? Avrebbe saputo discriminare?
Le persone comuni indicano le proprie volontà sulla base di indicazioni sommarie, spesso frammentarie e spesso viziate da nozioni scorrette. Ciò non toglie che quelle volontà, per quanto incomplete e sommarie vadano rispettate. Il lavoro del giudice è stato anche quello di stabilire se le condizioni tecniche di Eluana rientrassero nelle condizioni non tecniche e grossolane che essa avrebbe posto.
Passando al punto due del quote, posso dirti che l'encefalo è la parte anatomica più difficile da esplorare con metodiche non invasive e proprio per questo è anche quella meno conosciuta. Mentre siamo in grado di studiare un cuore vivente, non siamo in grado (e finio a poco tempo fa non lo eravamo proprio per niente) di studiare allo stesso modo un cervello vivo. L'autopsia in questi casi serve a riscontrare elementi non determinabili altrimenti, così come si fa ad esempio per la diagnosi di certezza dell'Alzheimer, che nel vivente può essere soltanto supposta.
Riguardo invece al terzo punto, i segni visti dalla suora non possono essere presi in considerazione per tre motivi:
- i reperti utili alla diagnosi devono essere raccolti esclusivamente dal medico
- la suora non ha la perizia per discriminare tra i vari segni (spasmi vs movimenti finalizzati), ed è soggetta a suggestione
- eventuali segni, se non chiari e oggettivi (parole ben scandite, movimenti ben definiti), sono passabili di interpretazione, gli unici elementi aventi valenza in questo caso sono i reperti strumentali (vedi risonanza magnetica funzionale di cui l'articolo del NEJM)
Ribadisco infine quello che è il nocciolo centrale: la questione non è sapere se Eluana fosse in stato vegetativo o di minima coscienza, la questione è sapere per quali condizioni, espresse in maniera conforme alla sua cultura, avrebbe rifiutato le cure. Perché in entrambi i casi sarebbe rimasta attaccata a un respiratore, non avrebbe potuto alzarsi, parlare e percepire in un modo da lei ritenuto soddisfacente, stando a quanto dichiarato dal signor Englaro.
In buona sostanza tutto quello che può essere opinato è l'onestà del signor Englaro, perché la condizione clinica era comunque ascrivibile, a mio parere oltre a quello del giudice, a quella che Eluana avrebbe definito come "attaccata a una macchina", che non vuol dire stato vegetativo. Condizione in cui, stando sempre al signor Englaro, avrebbe rifiutato le cure.