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Gilardino20
12-01-2007, 00:43
Nel giorno del quinto anniversario dall'apertura della prigione militare statunitense di Guantanamo, centinaia di persone -- alcune indossando tute arancioni come quelle dei prigionieri - hanno manifestato in tutto il mondo per chiedere la chiusura del carcere, in cui da anni sono detenute persone senza processo né incriminazione.

Una dozzina di pacifisti statunitensi, tra cui Cindy Sheehan, madre di un soldato morto in Iraq, hanno marciato lungo il perimetro della prigione di Guantanamo urlando lo slogan "Prigione di Guantanamo, luogo di vergogna, niente più torture in mio nome".

Fra i manifestanti giunti fino a Cuba c'era anche Asif Iqbal, un cittadino britannico che è stato prigioniero dell'esercito Usa a Guantanamo per due anni, al termine dei quali è stato rilasciato senza accuse.

Iqbal, che dice di essere stato interrogato all'infinito, torturato, privato del sonno e costretto a firmare con la forza false confessioni, durante la protesta ha letto alcune lettere scritte da altri prigionieri.


http://img409.imageshack.us/img409/5083/ansa95329041101155333bizf9.jpg (http://imageshack.us)


II nuovo segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon si è unito oggi al coro di proteste dicendo che la prigione Guantanamo Bay dovrebbe essere chiusa.

"Come il mio predecessore, credo che la prigione di Guantanamo debba essere chiusa", ha detto durante una conferenza stampa, tenuta a New York nel giorno del quinto anniversario.

Anche l'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan, che ha terminato il suo mandato lo scorso 31 dicembre, aveva chiesto la chiusura della prigione.

Ban ha ricordato ai giornalisti che il presidente Usa George W . Bush ha detto che avrebbe preferito chiudere il centro di detenzione. Fino ad ora, però, niente è stato fatto in tal senso. Anzi, lo scorso anno il presidente Usa ha approvato un provvedimento che proibisce ai cittadini stranieri detenuti nella base navale cubana di ricorrere presso i tribunali statunitensi per chiedere la scarcerazione.

I primi detenuti furono trasportati nella fortezza Usa a Cuba cinque anni fa poco dopo la decisione di Washington di invadere l'Afghanistan in risposta agli attentati dell'11 settembre 2001.

Dalla sua apertura, più di 770 persone sono state detenute nel centro caraibico, anche se solo 10 sono state fino ad ora incriminate per qualche reato. Al momento vi si trovano 395 prigionieri, sospettati di legami con al Qaeda e i talebani.

Gli investigatori dell'Onu incaricati di accertare la situazione dei diritti umani nel campo hanno detto che il suicidio simultaneo di tre detenuti della prigione cubana avvenuto lo scorso giugno era una tragedia prevedibile, date le condizioni in cui erano tenuti.

In vari paesi del mondo - fra cui Australia, Israele, Usa, Giappone, Paraguay, Spagna, Tunisia e Gran Bretagna e Italia - gruppi per la difesa dei diritti umani hanno organizzato oggi veglie e manifestazioni per segnare l'anniversario e chiedere ancora una volta la chiusura della prigione.

In Italia, alcune decine di persone si sono riunite a Roma per una manifestazione organizzata da Amnesty Italia.

Alcuni dei partecipanti, che hanno sfilato a Piazza di Pietra, vicino alla sede del governo, erano vestiti con tute arancioni simili a quelle indossate dai prigionieri di Guantanamo ed erano incatenati fra loro. Altri si erano rinchiusi in una finta gabbia e mostravano striscioni a favore della chiusura della prigione.

(Fonte:Yahoo)


Ovviamente tutto normale quando si sente parlare Bush di libertà e democrazia :suspi:

submix
12-01-2007, 02:25
io ci metterei bush stesso con quel suo cane di merda, senza farli mangiare cosi alla fine se lo sbrana....(chi sbrana chi è da indovinare)
:mad:

francamdar
12-01-2007, 03:36
http://www.lettera22.it/gif/articoli/6081.gif


“Sono Ruhal Ahmed e per più di due anni sono rimasto nella base di Guantanamo, senza conoscerne il motivo.
Dopo l’11 settembre con tre amici dovevo tornare in Pakistan per un matrimonio, e prima volevamo fare un viaggio in Afghanistan. Il primo giorno che arrivammo lì iniziarono i bombardamenti statunitensi. Andare via era impossibile, le frontiere erano sbarrate. Così per un mese siamo rimasti bloccati nel paese. I vari tentativi di espatriare ci hanno portato sempre più a nord, dove i bombardamenti erano più pesanti. Alla fine di ottobre i talebani avevano negoziato con l’Alleanza del Nord per ottenere un salvacondotto verso Kandahar: cedevano armi in cambio di un passaggio sicuro verso la città, che era ancora sotto il loro controllo.
Eravamo in Afghanistan per visitare il paese, ma avevamo anche contatti con un'organizzazione di volontari pakistani che ci ha consigliato di consegnarci all’Alleanza del Nord insieme ai talebani. L’Alleanza del Nord ci ha arrestati e siamo rimasti loro prigionieri per un mese. Abbiamo vissuto in tende da 20 persone ciascuna, di giorno costretti sotto il sole, mentre di notte con meno 4 gradi avevamo solo una coperta per coprirci. Durante la notte ci svegliavano ogni mezzora per contarci. Nel mese di prigionia a Kandahar non abbiamo avuto nessun contatto con l’esterno ed eravamo costretti a passare quasi tutto il giorno seduti nella stessa posizione. Siamo stati maltrattati, spesso ammanettati alla porta una giornata intera, le mani sempre alzate.
Prima del trasferimento per Guantanamo ci hanno rasato capelli e barba, abbiamo indossato una divisa arancione e un copricapo fino alle orecchie. Le mani e i piedi ammanettati, con una catena che correva intorno alla vita. Nessuno ci ha mai detto di cosa eravamo accusati, e neanche che saremmo stati trasferiti.
Durante il volo ci hanno legati alle pareti dell’aereo, con i piedi bloccati al pavimento e le manette troppo strette che impedivano la circolazione. Il viaggio è durato 24 ore, se ci muovevamo troppo ci picchiavano. Non potevamo neanche andare in bagno. Abbiamo fatto una sola sosta, per cambiare aereo, ma non so dire se eravamo in Europa.
Appena siamo arrivati a Guantanamo ci hanno identificato, poi una doccia di corsa, sempre rigorosamente legati. Ci hanno sistemato in “gabbie” senza copertura, due metri per due: non c’erano letti o brande ma solo due secchi, uno per bere, l’altro era “il bagno”.
Durante il primo mese non volevano che parlassimo fra di noi, dovevamo stare quasi tutto il giorno seduti e guardare nella stessa direzione. Era proibito appoggiarsi con la schiena alle pareti della cella, eravamo tutti ammassati al centro per non toccare la gabbia. Il cibo era scarso, e spesso ci veniva lanciato, come fossimo animali. L'acqua invece non mancava, forse per non rischiare la disidratazione.
Potevamo fare solo una doccia di 5 minuti a settimana, ma capitava spesso che staccassero l’acqua, così tornavamo nelle celle ancora insaponati. La notte dormivamo per terra, e nella cella spesso entravano topi e serpenti.
Dopo 4 mesi sono stato trasferito in un altro blocco del campo, che avevano appena finito di costruire. Era un gruppo di 48 tende, con un lavandino, e un bagno turco, ma c’erano anche le brande.
Abbiamo tutti avuto paura di morire più di una volta a Guantanamo. Era sufficiente guardare troppo a lungo una delle guardie per scatenare quella che i nostri carcerieri chiamavano la “reazione di sicurezza”: cinque di loro venivano nella gabbia, e ti picchiavano, fino allo svenimento. Le guardie assistevano i feriti solo in caso di confessioni. Ricordo bene un giovane canadese con una ferita da arma da fuoco: non venne curato perché rifiutò di collaborare.
Una delle punizioni a cui eravamo spesso soggetti erano i trasferimenti improvvisi da una parte all’altra del campo, anche ogni 15 minuti. Di solito di notte, un modo come un altro per non farci dormire. Le punizioni collettive, poi, erano all’ordine del giorno: per uno che sbagliava magari veniva staccata l’acqua a tutto il blocco. Esisteva anche una sezione speciale per l’isolamento: costruzioni in metallo con piccole finestre, dove i prigionieri restavano nudi per giorni. Durante il giorno spegnevano l’aria condizionata e la cella diventava rovente, mentre la notte la riaccendevano.
Per quanto riguarda gli interrogatori di solito ci legavano a terra mani e piedi nello stesso punto, una posizione che dopo pochi minuti diventava insostenibile. Venivamo picchiati e a volte ci lanciavano dei secchi d’acqua gelata. Poi accendevano l’aria condizionata. Più che domande precise erano affermazioni generiche che volevano che confermassimo. Per un periodo di tempo volevano che dichiarassimo di essere talebani, altre volte di appartenere a gruppi legati ad al Q’ida o di avere delle responsabilità negli attacchi dell’11 settembre. Ricordo che una volta mi chiesero ripetutamente dove fosse Osama bin Laden, anche se da più di un anno ero lì senza contatti con il mondo esterno.
Le forme di tortura erano molte, oltre a quelle che ho descritto so di molte persone che hanno subito abusi sessuali da parte delle guardie.
Poi un giorno le guardie mi hanno consegnato un paio di jeans e una maglietta, ero libero. Mi hanno caricato su un volo per l’Inghilterra. A Londra la polizia mi ha tenuto in stato di fermo per un paio di giorni, ma poi mi hanno rilasciato. So che lo devo alle pressioni che per mesi hanno esercitato organizzazioni come Amnesty International, insieme ad amici e familiari. Credo che per questo il governo britannico abbia deciso di intercedere per me. Non ho mai ricevuto un risarcimento di nessun tipo per tutto quello che ho passato. Mi hanno raccontato che nei mesi precedenti alla mia scarcerazione il governo ne aveva parlato. Io non ne ho saputo più nulla”.


da lettera22 (http://www.lettera22.it/showart.php?id=6081&rubrica=24)


Video intervista (javascript:openWindow('schedaVideo.aspx',617,'vid eo','386','600','yes')) a Ruhal Ahmed da La storia siamo noi (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/cerca.aspx?testoLibero=guantanamo)

francamdar
12-01-2007, 10:49
Ogni giorno, a Guantanamo, un detenuto viene sessualmente violentato, torturato ed interrogato anche per 20 ore consecutive. La tortura sia fisica, sia psicologica è sistematica e di routine. Gli scherni contro la religione, il disprezzo e gli insulti contro i detenuti arabi e musulmani è una costante sia a Guantanamo, sia a Bagram, in Afghanistan, Non mi piace affatto parlare del mio passato. Cerco soltanto di dimenticare. Ma penso a coloro che sono ancora in quei lager». Queste le prime parole di Moazzan Begg - da noi raggiunto telefonicamente a Birminghan - rilasciato da Guantanamo dopo oltre tre anni di «barbarie animalesca» nei centri di detenzione di Kandahar, Bargram, Guantanamo. Tre anni fa proprietario di una libreria a Birmingham, oggi un rottame umano.

* * *

Può raccontarci l’inizio della sua discesa verso gli inferi della detenzione nelle carceri americane?

Il 21 gennaio del 2002, a Islamabad, in piena notte, militari della polizia segreta pakistana ed agenti americani hanno fatto irruzione nella casa dove abitavo. Mi hanno puntato una pistola al capo, sono stato incappucciato, ammanettato, incatenato mani e piedi, caricato su un veicolo e portato via... Sul camion che mi portava via, gli americani mi hanno strappato di dosso gli indumenti.

Gli agenti americani le hanno spiegato le ragioni del sequestro?

Uno degli agenti segreti in borghese mi ha mostrato un paio di manette dicendo che ero un terrorista e che la vedova di una vittima dell’attacco dell’11 settembre aveva dato loro l’incarico di dare la caccia a coloro che avevano effettuato l’attacco terroristico. Quando chiesi di vedere un rappresentante del consolato britannico, mi risposero «Lei è stato sequestrato ed imprigionato illegalmente. Nessuno sa dove lei sia. Quindi non può chiedere alcunché né effettuare alcun ricorso per ottenere giustizia.

Dove venne portato dagli agenti americani?

Incatenato mani e piedi, con un pesante cappuccio che mi impediva di vedere e respirare venni tradotto a Kandahar dove rimasi per circa due mesi.

E poi?

Nell’inferno di Bagram, dall’aprile del 2002 sino al febbraio del 2003 e infine in quello di Guantanamo sino al gennaio del 2005..

Ci descrive le condizioni del lager di Kandahar?

Qui, gli americani ci strappavano tutti gli indumenti da dosso utilizzando un coltello. Durante gli interrogatori che duravano anche 20 ore consecutive, di giorno e di notte. Le forme di tortura erano molteplici e sistematiche. Ci picchiavano ed eravamo presi a pugni in ogni parte del corpo fra grida, ed insulti. Una volta denudati ci davano calci, ci facevano stare in posizione fetale con le mani legate alle gambe. Per giorni senza cibo e trattati come animali. Oltre alla privazione del sonno, anche per 36-72 ore, durante gli interrogatori i comandanti del carcere, uomini e donne, ricorrevano ad ogni tipo di violenza sessuale. Siamo stati sodomizzati con dei pezzi di legno. Ci soffocavano stringendo il cappuccio che avevamo in testa. Gli americani si divertivano a fotografarci. Ci riprendevano, nudi, incappucciati. Uno ammassato all’altro. A volte, durante gli interrogatori ci legavano mani e piedi con una corda e ci appendevano per le mani legate ad una barra al soffitto. Rimanevamo appesi in aria, per giorni sino al collasso.

Durante gli interrogatori venivate insultati perché islamici, il corano profanato?

L’insulto e la dissacrazione religiosa erano routine sia a Kandahar, Bagram (Afghanistan) sia a Guantanamo. Quando arrivava un nuovo detenuto, durante la fase del «processing», venivamo denudati, rasati. Una volta tagliata la barba, ad alta voce, urlavano: «Questo è l’insulto peggiore che possiamo fare a questi animali». Nelle toilette dappertutto c’erano scritte ai muri: «Fuck Islam». A Guantanamo, un soldato ha fatto a pezzi le pagine del Corano e poi le ha gettate in un secchio che serviva da toilette.

Lei ha mai chiesto, conoscendo bene l’inglese, perché venivate torturati?

Rispondevano che eravamo terroristi. Non avevamo alcun diritto. Nella prima fase del «processing» si viene isolati in gabbie con il divieto di comunicare l’un con l’altro, in un’area, chiamata «the bond». Un hangar di metallo che era suddiviso in due parti. In ciascuna c’erano sei celle circondate da triplice filo spinato. In questa gabbia sono stato due mesi in totale isolamento. E’ una tecnica di tortura psicologica: avevo il senso di essere totalmente perduto.

Quando viene trasferito a Bagram?

Il 14 aprile 2002. Sono stato lì fino al 17 febbraio 2003. Le regole erano rigidissime. Non avevamo il permesso di avvicinarci agli altri né di parlare. Durante la notte veniva urlato il numero del detenuto che veniva trascinato dalla gabbia alla stanza di interrogatorio. La tortura era sistematica.

In una lettera a suo padre lei sosteneva di essere stato testimone della morte di due detenuti causata dalle torture a Bagram...

Sì, sono stato testimone della loro uccisione. Il primo era nella mia cella, l’altro l’ho visto trascinato dai soldati americani verso l’infermeria. Il primo fra giugno e luglio del 2002, il secondo nel dicembre di quello stesso anno.

Cosa vide dalla cella?

Il detenuto veniva picchiato, soprattutto alle gambe. Era di fronte alla mia cella. Nella zona chiamata «Air lock». Era lì con mani e piedi legati ed appeso sopra la porta della sua cella. E’ rimasto così per tre giorni consecutivi. Urlava e gridava di aiutarlo. I soldati invece di slegarlo continuarono a picchiarlo all’altezza delle costole. Quando poi l’hanno trascinato ormai morto alla «isolation unit», era ormai morto. La conferma di ciò l’ho ottenuta un anno e mezzo dopo a Guantanamo.

Come?

Ricordavo il numero del detenuto 419. Aveva una lunga barba, era afghano, parlava pashtun. Due giorni dopo il mio arrivo a Guantanamo (febbraio 2003), gli stessi agenti di Bagram si presentarono di notte a Guantanamo. Chiesero al secondino di uscire e mi mostrarono le foto dei due detenuti morti per tortura e le foto dei soldati responsabili. Ma credo siano ancora al loro posto di lavoro impuniti.

Ci racconti le condizioni di detenzione a Guantanamo.

Ogni singolo giorno venivo torturato, fisicamente violentato. Durante gli interrogatori venivano usati gli stessi metodi impiegati a Bagram. Interrogato da agenti dell’Fbi, della Cia, del servizio segreto del Pentagono. Mi legavano mani e piedi e sistematicamente venivo picchiato e preso a calci in ogni parte del corpo. Poi mi minacciarono di spedirmi in Egitto per essere torturato con gli elettrodi ai genitali.

Ci descrive le sue condizioni in cella di isolamento?

La cella di isolamento è una piccolissima cella all’interno della quale è costruita una gabbia ancora più piccola delle dimensioni di 1,52 per un metro e ottanta. Un secondino è davanti alla cella per 24 ore. L’illuminazione artificiale: con una lampadina. Non sapevo mai se fosse notte o giorno. Non potevo comunicare con nessuno. Lì sono rimasto rinchiuso più di due anni. Mi venivano concessi, inizialmente 15 minuti d’aria. Uno spazio chiuso, senza luce, circondato da una gabbia. E’ una condizione peggiore di un animale. In seguito il tempo di ricreazione venne esteso a 30 minuti due volte a settimana con la possibilità di una doccia. Passavo molto del tempo a pregare, memorizzavo il corano. Scrivevo poesie. Poi ho avuto dei seri problemi psicologici.

A Guantanamo c’era il generale il generale Jeffrey Miller?

Gli stessi agenti Cia di Bagram volevano farmi firmare una falsa confessione e il generale Jeffrey Miller era presente. Mi presentarono un testo da firmare in base al quale nel 1993 e nel 1998 avevo fornito soldi che sono serviti per l’addestramento degli autori dell’attacco dell’11 settembre. Se mi fossi rifiutato di firmare non sarei mai più uscito da quella cella di isolamento. E nessuno avrebbe mai saputo della mia morte. Erano agenti Cia, dell’Fbi e della Criminal Investigation Task Force istituita a Guantanamo. Firmai un falso. Tutti sapevano che i detenuti venivano obbligati a sottoscrivere dichiarazione false.



New York, Patricia Lombroso - da il manifesto - 05 Giugno 2005 -

The jackal
12-01-2007, 14:46
beh loro sono i liberatori del mondo e gli esportatori di democrazia e pace....se le tenessero un po' per loro...

macedone
12-01-2007, 15:31
Speriamo che la smettano con questa vergogna...

:mad:

Dr_Velvet
12-01-2007, 19:59
e i governi si muovono solo se un neostaterello viene sputtanato in tv per l'impiccagione di un tiranno filmata tramite cellulare....